Nel Friuli Venezia Giulia, la festa dei Morti non è solo un momento di ricordo e raccoglimento, ma anche un’occasione per ritrovare sapori antichi, tramandati di generazione in generazione. Come in molte regioni italiane, anche qui il cibo diventa linguaggio della memoria: ogni piatto racconta una storia, un affetto, un rito di famiglia.

Uno dei dolci simbolo di questo periodo è senz’altro la fave dei morti, piccoli biscotti a base di mandorle, zucchero e albume, preparati in tre colori — bianco, rosa e marrone — a simboleggiare il ciclo della vita. A Udine e in gran parte del Friuli si usano accompagnare al vino dolce o al caffè dopo la visita al cimitero.

Nelle campagne friulane, poi, si cucinava la pinza, un pane dolce arricchito con uvetta, fichi secchi, semi di finocchio e scorza d’arancia. Veniva tagliata e condivisa in famiglia dopo la messa dei Defunti, come gesto di unione tra vivi e morti.

Non mancavano le zuppe calde, come la minestra di zucca o la jota, piatto tipico del Friuli e di Trieste a base di crauti, fagioli e patate, ideale nelle giornate autunnali. In Carnia, invece, si preparavano i cjalsons, ravioli dal ripieno agrodolce, a simboleggiare l’incontro tra dolcezza e malinconia.

In alcune zone della pianura, la tradizione vuole che si lasciasse un piatto di cibo sul tavolo per i defunti in visita durante la notte del 2 novembre — un gesto semplice ma carico di significato, segno di rispetto e continuità con chi non c’è più.

Oggi queste usanze resistono nei paesi e nelle famiglie che tengono viva la memoria del passato, perché in Friuli Venezia Giulia il cibo non è solo nutrimento: è un modo per ricordare, per dire “ti porto ancora con me”, attraverso il profumo di un dolce o il calore di una minestra condivisa.